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Johann Wolfgang Goethe (1749 - 1832)

Nacque a Francoforte sul Meno il 28 agosto del 1749.
Nel 1771 si laureò in giurisprudenza a Lipsia, dove aveva seguito corsi di disegno, medicina e scienze naturali. Tornato a Francoforte conobbe Herder, Jacobi e Klopstock, lesse autori mistici e neoplatonici e si avvicinò alla filosofia di Spinoza. Fu in questo periodo che compose I dolori del giovane Werther.
Nel 1775 si trasferì a Weimar come membro del Consiglio Segreto del Duca Carlo Augusto di Sachsen-Weimar, al servizio del quale si dedicò a studi di botanica e di mineralogia e si occupò di problemi politici. Gli anni che seguirono furono molto felici per l'attività letteraria di Goethe, che compose le liriche Il Divino e Limiti dell'Umanità e iniziò le stesure dell'Urfaust, dell'Ifigenia in Tauride, del Wilhelm Meister, del Tasso e dell'Egmont.
Nel 1782 l'imperatore Giuseppe II gli conferì il diploma di nobiltà, consentendogli di porre la particella von davanti al suo cognome; il 3 settembre dello stesso anno partì per quel Viaggio in Italia che avrebbe raccontato in uno dei più bei libri di viaggio di tutti i tempi.
Tornato in Germania, nel 1789 ebbe un figlio da Christiane Vulpius. Negli anni seguenti strinse una profonda amicizia con Schiller, che lo esortò a non abbandonare la redazione del Faust, e con il quale collaborò alla stesura di una raccolta di epigrammi, Xenien. Nel 1808 fu insignito della Legion d'Onore da Napoleone.
Nel 1830, a Roma, gli morì il figlio Augusto. Goethe lo seguì il 22 marzo del '32, alcuni mesi dopo aver sigillato il manoscritto del Faust II.




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a èsar sincer as sa sol quand as sa poch. Pusè at se men at sè sicur da saver
an as ria mai tant lontan conpagn quand as sa mia in dua as va
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in dua a gh è tanta luce, l’onbra l’è pusè scura
la forsa ad na lingua l\'è mia quela da rifiutar quel ch\'l\'è forester ma in dal faral suo
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s\'as gh es da studiar tute le legi an restares tenp par inbroiàrle
s’av fidè da uatar stes, fè in manera che chi atar is fida da uatar
trata la gent conpagn s‘la fos quel ch’la dovres esar e ‘t la iutarè e dventar quel ch’la podres esar
\'s suporta tut in dla vita, men che tanti dì da contentesa costanta